Miro Romagna è stato l’ultimo pittore romantico post impressionista, figlio di quella Venezia, che lui ha amato fin da bambino, quando, dopo gli studi al Liceo artistico, interrotti proprio per la premura di abbracciare pennello e tavolozza, carpiva con gli occhi le pennellate dei grandi pittori veneziani che negli anni 40, 50 e 60 dipingevano lungo le rive scorci particolari di questa magica città.
L’incontro con Neno Mori, suo maestro, è stato l’avvio proficuo della sua grande produzione artistica: tocchi decisi, irruenti e colorati per dar forma ad una nuova materia; un’interpretazione impressionista elaborata nel contesto architettonico di Venezia dove tutto è materia e colore.
Già i vedutisti del 700 avevano colto nel colore l’elemento principale delle loro tele. Miro fin da quando aveva lo studio a palazzo Carminati è sempre stato a contatto con i suoi coetanei (Domestici, Borsato,…) anch’essi interessati in questo grande progetto degli anni sessanta.
Lo schema mentale di Miro è appunto maturato in una continua evoluzione nello studio della materia, della sua smaterializzazione e quindi della ricostruzione nel colore.
Quante volte è stato visto, da giovane, per le fondamente con il suo cavalletto a riprendere con gli occhi ma soprattutto con il cuore angoli della città baciati dalla luce del sole sospesi nei riflessi dell’acqua, fenomeni che lui chiamava “magia di Venezia”.
E la sua mente non si è mai fermata nei progetti iniziali: il suo impressionismo è sempre stato in evoluzione, alla ricerca della pennellata, forse nervosa, che rispondeva più all’impulso del cuore che a quello della mano.
Non a caso chi ha seguito negli ultimi trent’anni le sue personali, avrà senz’altro colto lo spirito libero di ricerca di questo poeta del colore: i girasoli degli anni sessanta, le Zattere degli anni settanta, i rimorchiatori, il mulino Stucky, la Giudecca: sempre in continua elaborazione. E proprio i paesaggi delle Zattere sono un segno evidente del cromatismo sentimentale di Miro: i palazzi, le fondamente, le navi si liberano dalla materia e si ricreano fondendosi nell’azzurro dell’acqua e nell’oro del cielo: in questa spazialità si libera il suo impeto, la sua pennellata.
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Girasole verde
olio su tela 90x60 - anno 1964 |
Due rimorchiatori
olio su tela cm.60x45 - anno 1965 |
Mi soleva dire ultimamente che lui dipingeva Venezia con il cuore, con gli occhi chiusi, l’impulso estetico portava la mano a raffigurare quello che il suo spirito sentiva dentro.
E la stessa immediatezza di immagine la si può ritrovare nelle nature morte, nei fiori – lui adorava gli Iris – che nella rappresentazione meglio di ogni altro soggetto esprimono la rapidità di tono, di colore pur nella gentilezza del soggetto.
Ho avuto modo di conversare con lui sulle recenti mostre degli impressionisti alla Casa dei Carreresi di Treviso o alle ultime proposte a Brescia. Mi confidava che Monet era uno dei suoi artisti preferiti. E quando gli chiedevo cosa Monet gli aveva dato, lui con il suo consueto spirito libero mi diceva "sono entusiasta delle pennellate di Monet: con il colore dà forma alla materia, basta leggere attentamente le rappresentazioni della Senna ghiacciata, le ninfee, la stazione di Saint Lazard, gli scogli della Normandia. Da lui ho appreso la forza del colore che tuttavia è sempre stata la caratteristica di tutti i pittori veneziani, vedasi la produzione degli artisti della scuola di Burano".
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Tramonto alla giudecca
olio su tela cm.100x60 - anno 1988 |
Queste risposte di Miro, benché evasive, tuttavia fanno capire meglio il suo stile. Prima mi soffermavo sui momenti della sua evoluzione dal progetto originale; ebbene guardando l’edicola di campo Sant’Angelo, o il rio dei Frari, o il Mulino Stucky possiamo carpire il valore della pennellata lunga e veluttata di questo maestro che non rinuncia, nemmeno di fronte alla monumentalità dei palazzi che ritrae, alla sua impostazione coloristica: quanto studio su quella vecchia edicola, eppure il grigio e l’azzurro si fondono nella spazialità del campo.
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Vecchia edicola
olio su tela cm.120x100 - anno 1994 |
Merita una particolare menzione il settore che Miro ha dedicato al ritratto: colpisce in modo particolare quello di suo papà Cesare dove i lineamenti del volto vengono resi con forte intensità coloristica da far apparire uno sguardo dolce, pacato, colto come un clic improvviso di una macchina fotografica, con tutte le caratteristiche di un’istantanea: riflessi di luce, chiaroscuri, grinze della pelle. E poi quello bellissimo di Toni Fulgenzi, suo carissimo amico, dove pare che l’aspetto simpatico e ridente esca dalla tela: pennellate policrome, decise, coniugate con dovizia su una tavolozza che non lascia spazio alle incertezze nella ripresa del soggetto.
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Cesare
olio su tela cm.40x50 - anno 1966 |
E poi negli anni novanta ecco scoprire un nuovo filone artistico: l’arte sacra. Oltre gli angioletti, inizialmente dipinti quasi per scherzo per adornare la stanza di qualche bambino, che sembrano librasi in volo, resi leggeri dalla fluidità delle loro ali immerse nell’oro e nel celeste, mirabili sono le tele che rappresentano l’Annunciazione di Maria Vergine o la nascità di Gesù o la crocifissione. Temi molto difficili per un impressionista. Miro tuttavia con la forza del suo pennello è riuscito anche in questa impresa. Le figure sono rese in maniera sobria immerse nel colore del cielo, con tutta la leggerezza e delicatezza che il tema impone, quasi un rispetto al dogma della Fede. E dietro le immagini del soggetto sempre quella luce traspirante e penetrante quasi a far sentire la presenza di Dio.
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Angeli
olio su tela cm.50x60 - anno 2000 |
Un omaggio alla sua sensibilità: sì Miro era un sensibile, un innamorato della vita, portava i suoi alti sentimenti nelle tele, a modo suo certamente, ma fiero testimone di un grosso bagaglio culturale che sentiva prorompere nel profondo del suo grande cuore.
Miro adesso non c’è più.
Orazio nell’ultima delle sue odi scriveva “… non omnis moriar ….” non del tutto morirò “ - “ la mia poesia resterà ai posteri e vivrò rinnovato nel ricordo degli stessi.”
Anche Miro rivive ancora nei suoi quadri e rivivrà attraverso questi in ciascuno di noi.
La sua arte testimonierà il grande valore artistico di un post impressionista che ha fatto del colore materia sentimentale: un uomo che ha saputo coniugare arte e poesia dotato di un istinto prorompente dal cuore e dallo spirito.
Miro ha lasciato un grosso patrimonio culturale che non dobbiamo lasciarsi sfuggire di mano, ci ha insegnato come dobbiamo guardare la natura, la nostra città: Venezia l’unica città al mondo dove cielo il mare e l’amore si fondono in un unico sublime contesto.
Un amico |